Mi chiamo Nicola, e mio nonno era Mario Cadalora. Quando mi scrisse questa lettera ero ancora troppo immaturo per comprendere quanto amore muoveva quella penna che sulla carta tracciava il racconto di una vita intera, la sua, con sincerità e intensa dolcezza.
E ora, a venti anni di distanza, le mie mani si agitano goffe sulla tastiera, mosse ancora una volta dall’amore, per raccontare a voi la vita di un uomo che è vissuto per l’arte e che con occhi benevoli ha sempre cercato la bellezza in ogni essere umano.
Questa è la sua storia
Mario Cadalora nasce a Mantova il 29 marzo del 1928.
Suo padre è Giuseppe, un macchinista delle Ferrovie dello Stato. Giuseppe è, soprattutto, un socialista, animato da ideali di fratellanza e solidarietà in anni in cui tutto ciò che si discosta dall’ideologia fascista è pericoloso e fuorilegge.
La madre Rina è la giovane sarta dei signori del paese. Morirà a 33 anni lasciando al suo posto un vuoto che Mario non riuscirà mai a colmare.
È un’infanzia segnata dalla solitudine, dalla separazione dai fratelli e dalla casa natale. La famiglia, o quel che ne rimane, si dovrà trasferire, prima da Gonzaga a Modena e poi in Sardegna, per sottrarsi alle violenze dei fascisti locali.
Sant’Antioco e la Sardegna plasmeranno la geografia dei suoi ricordi: le spiagge, il profumo dei fichi, i pesci pescati con le mani, le lunghe e cupe processioni del Venerdì Santo sono le immagini che riaffioravano nei racconti e nelle poesie del nonno.
Gli ideali
Quando la guerra sta volgendo al termine, la famiglia torna a Gonzaga. Poco più che bambino partecipa a sabotaggi e azioni di disturbo per ostacolare l’occupazione nazista.
Nonostante il pericolo e la paura sono gli anni della formazione politica. Da queste esperienze Mario matura ideali di non violenza e di profondo amore verso la libertà di espressione.
“Credere sempre di aver ragione è la cosa più sbagliata del mondo. Solo quando apri la mente hai la possibilità di ascoltare idee inaspettatamente interessanti. E belle.”
Il dubbio per mio nonno era una bussola: uno strumento per non perdere mai la connessione con gli altri. Mettere in dubbio le proprie certezze, metterle alla prova dal confronto continuo con chi aveva posizioni anche opposte alle sue gli ha permesso di tenere sempre aperta una finestra su un mondo più ampio di idee, speranze e visioni. E il dialogo, per mio nonno, era la pietra su cui costruire una società partecipata e armonica.
L’impegno sociale
Nel 1954 si iscrive al PCI. Nonostante i suoi dubbi su un'ideologia che poneva in secondo piano l’individuo e la sua peculiare unicità, diventa funzionario del partito.
È un un periodo di grande fermento. Stanno nascendo importanti circoli culturali, come il circolo Formiggini di cui Mario diventa segretario. Il Circolo nasce per iniziativa di un gruppo di intellettuali di sinistra, dal Psi e dal Pci, ma indipendenti dagli indirizzi di partito.
La convergenza di intellettuali di diversa provenienza ideologica fa nascere aspri contrasti interni, ma contribuisce anche a fare del circolo un vero e proprio laboratorio culturale.
Nel 1957 diventa segretario della Casa della Gioventù. Decide di aprire il il primo doposcuola laico di Modena. Permette ai giovani di usufruire di una biblioteca, di una palestra, di campi all’aperto. Ma, soprattutto, di un cinema e di un teatro.
“Semina l’amore per l’arte in un bambino e crescerai un cittadino migliore.”
L’amore per l’arte
Gli anni ‘50 stanno per lasciare il posto agli anni ‘60. Mio nonno è un trentenne pieno di idee e instancabile negli anni in cui il Paese vive il suo sogno di rinascita.
L’8 febbraio 1959 con la mostra del pittore Rino Golinelli fonda la Sala di cultura, quella Sala di Cultura che nel 1974 diventerà la Galleria Civica di Modena.
Nello stesso periodo, con le 30000 lire ricevute come liquidazione dalla Casa della Gioventù, apre la prima galleria d'arte privata a Modena. Nasce La Sfera.
La galleria diventa da subito un luogo di incontro e sperimentazione. Invita giovani artisti sconosciuti ma promettenti a esporre le loro opere. Molti di questi giovani diventeranno i grandi pittori dell’epoca: Concetto Pozzati, Ennio Calabra...
Il teatro
A soli 33 anni diventa direttore del teatro comunale di Modena. Prima di accettare pone una condizione: non essere un candidato di partito, ma un candidato condiviso. Il consiglio comunale lo elegge all’unanimità.
Il teatro è per mio nonno lo strumento perfetto per aprire un dialogo tra le classi sociali. E la storia gli dà ragione. Nel giro di pochi anni i soci diventano 4500, tra figli della borghesia e iscritti al PCI e PSI. Tutti erano attratti da un programma che portava a Modena artisti come Emanuele Riva, Carmelo Bene, Biancardi, Cesare Maestri, Mario Scaccia.
Presto gli viene affidata la coordinazione dei programmi di Ater, l’associazione dei teatri emiliani. In principio coordina le produzioni liriche tra i teatri tradizionali, ma ben presto la voglia di sperimentare lo spinge implementare il teatro di prosa con allestimenti e rassegne ambiziose.
A questo punto della storia la mia memoria inizia a confondersi. So di una stretta collaborazione con Strehler, ricordo i suoi viaggi da e per Milano. Per il resto cerco di ricostruire gli eventi. Parto dai racconti, li confronto con le lettere e con i libri che mio nonno mi ha lasciato.
Ho perso molto da quando lui se n’è andato. Ma a vent'anni non potevo sapere nulla della nostalgia che ora mi porta a seguire indizi minuti, a elemosinare briciole di memoria da chi mio nonno l’ha conosciuto e con lui ha condiviso un po’ di vita.